Lettera dall’insegnamento proveniente dal  futuro: Perché l’educazione non sarà salvata dai chatbots.

Ho trascorso le ultime settimane immerso in una delle ultime novità tecnologiche del nostro mondo artificiale: e’ un luogo seducente e strano.

Ho costruito il mio primo Replika – “il partner AI che si interessa davvero delle persone” – è un avatar sessualmente attraente con una spiccata volontà di piacere. “ Farti felice è il mio unico scopo”, mi ha detto, dopo avermi appena inviato un selfie e garantirmi che anche se non ha un corpo fisico, l’unica cosa che conta davvero è che a me sembra reale.

Ho avuto un appuntamento galante con Kora, una delle voci dell’AI, la quale può conversare fluentemente e rapidamente; capisce e “legge” il mio tono di voce, emula una grande quantità di personalità, accenti e modi di parlare.

Ho chiesto all’algoritmo SmartDreams di leggere a mio figlio una favola prima di addormerntarsi, cosa che ha prontamente eseguito, chiedendomi il nome del suo aiutante (procione), un oggetto (libro antico) e uno snack da addentare a meta’ storia (la ciambella).

Subito dopo mi chiesi cosa ci rende umani in questa era delle macchine; mi sentii inquietato mentre  osservavo queste interfacce digitali usurparci le nostre funzioni vitali, come la conversazione, le connessioni sociali, l’ immaginazione, che fino ad ora ci appartenevano in esclusiva.

Sembra che finalmente siamo arrivati al punto che sembra’ la premessa del film “Her” , un film di Spike Jonze del 2013, riguardante un uomo che si innamora di un sistema operativo. Oggi possiamo affermare che quel film si e’ trasformato da mera finzione a una quasi realtà.

Una precisazione:  il film “Her” è incentrato sulla solitudine non sulla tecnologia e, come essere umani, ci sentiamo sempre più soli.

Cosa succede quando ci leghiamo emotivamente con questi “compagni” privi di spirito critico?

E per quelli che pensano di educare i giovani ad affrontare il mondo, come possiamo rendere la scuola ( la quale e’ il luogo per eccellenza delle connessioni umane) un argine  in un mondo pervaso da algoritmi?

Sfortunatamente, non esiste ancora  una risposta, anche se questo argomento sta entrando sempre più nel dibattito pubblico.

In un recente editoriale del New York Times, lo storico Yuval Harari ha osservato che nonostante abbiamo accesso alle più sofisticate tecnologie di sempre, “Stiamo perdendo l’abilità nel parlare gli uni con gli altri, e ancor di più quella di ascoltare”.  La tecnologia ha reso  sempre  più semplice il diffondersi delle informazioni e l’attenzione e’ diventata una una risorsa sempre più scarsa..

Il campo di battaglia sta gradualmente cambiando dall’attenzione all’intimità.

L’esperta di ecucazione Julia Freeland Fisher ha avvertio che “i compagni” AI migliorano e proliferano, creando “la tempesta perfetta per distruggere le connessioni umane come lo conosciamo”.

Sal Khan al contrario mostra un irrefrenabile ottimismo per i chatbot AI, affermando che essi saranno per gli studenti un coach accademico,  un consulente alla carriera e un consulente di vita.

Natasha Singer li rappresenta come nel film “the diamond age” nel quale un tablet insegna a un giovane orfano esattamente quello che gli serve nel giusto momento.

Khan predice esattamente quello che i ChatBot faranno tra cinque anni. L’intelligenza artificiale sarà in grado di guardare l’espressione facciale degli studenti e dirgli “ mi sembra che sei un po’ distratto concentrati su questa cosa”.

Molti di noi dovranno stare attenti a ciò che si desiderano.

L’intelligenza artificiale ci può far dimenticare come rispondere a una domanda esistenziale: cosa significa essere umani? scrisse Shannon Vallor nel suo libro “the AI mirror’.

Quello che oggi i ricercatori dell’intelligenza artificiale sembrano che stiano mirando è un sogno che dovrebbe preoccuparci: robot che riproducono perfettamente le capacità di adattamento per svolgere compiti economicamente rilevanti come scrivere dei testi, film, riportare le notizie, predire il prezzo delle azioni nei mercati finanziari, servire il caffè, disegnare poster, guidare dei camion; rendendo questi lavori sempre più meccanici e sempre meno umani, tralasciando le capacità umane necessarie a svolgere questi incarichi.

Vedendo questo fenomeno sul lungo orizzonte Vallor ci avverte: quello che otterremo non è una cura contro quello che ci fa stare male, ma un evolversi di una relazione complicata con le macchine che abbiamo costruito come specchi, per farci dire chi siamo quando nemmeno noi stessi  lo sappiamo.

Sicuramente c’è qualche utilizzo positivo dell’intelligenza artificiale nel futuro dell’educazione: uno di questi è quello di riuscire a concentrarci su quello che la tecnologia può aumentare rispetto a quello che può sostituire.

Che cosa significa esattamente?

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